L’idea dirompente della “distinguibilità” introdotta da Camillo Boito nel quarto congresso degli Ingegneri e Architetti italiani nel 1883 ha avuto un’immensa fortuna; un favore che trova eco sia negli enunciati giovannoniani, sia nei principi della Carta di Venenzia del 1964. Si tratta di un concetto “usurato dalla sua stessa fortuna”, come giustamente scrive Alberto Grimoldi [1], che spesso ha condotto gli architetti verso l’impiego di una diversità fine a se stessa e gli storici verso all’incomprensione pregiudiziosa delle azioni boitiane che erano realizzate all’interno della complessa stagione dell’eclettismo. Ripartendo dalla lettura del rapporto tra imitazione e invenzione per la definizione formale della reintegrazione nel restauro architettonico, con questo breve saggio si ha l’obiettivo di mettere meglio a fuoco il concetto di “invisceramento” che il nuovo deve avere per l’esistente. Tale concetto è stabilito da Quatremère quale nesso tra “imitazione non letterale” e “l’invenzione”, ma è ripreso e amplificato proprio dal pensiero boitiano (così come è già stato evidenziato dal Grimoldi) ed appare come l’elemento fondamentale per dare l’abbrivio ad un corretta interpretazione dell’esistente e ad una altrettanto corretta reintegrazione delle parti mancanti del medesimo. Per tale ragione è apparso giusto ricominciare ad interrogarsi sul cosa significasse effettivamente il termine “invisceramento” e su quanto la creatività boitiana di origini crociane trovasse in tale principio un limite e, pure, un impulso. Per avvicinarsi in maniera equanime a questa lettura di approfondimento si è cercato sostegno nelle parole di Pareyson e nella lettura strutturalista del testo architettonico. Egli, infatti, nella sua Teoria della formatività, spiega proprio questo aspetto giungendo a chiarire come nell’atto creativo i nessi che legano l’esistente al nuovo, la tradizione e l’innovazione possano convivere in forme proliferanti che non si riproducono mai in copie e ripetizioni, “ma generano forme diverse eppure legate a sé da vincoli familiari con una fecondità infinita e sempre rinnovabile”.[2] Sintassi, parole, struttura, organismo hanno cominciato a trovare, allora, una consequenzialità che ha potuto aiutare a trovare una significazione della “distinguibilità” boitiana sia nell’ambito dell’architettura dell’eclettismo sia nell’alveo della “legittima secrezione” del testo esistente, conducendola in un terreno nuovo, al di là dalla diversità fine a se stessa e oltre la mera copia L’innesto delle parti di reintegrazione sull’esistente, cioè, possono trovare legittimazione nel riconoscimento di un comune carattere formativo all’interno del quale le discontinuità, le deroghe e i conflitti, tendono a sfumarsi nella misura in cui ciascun elemento aggiunto sia capace di partecipare al processo formativo all’interno del quale si può indifferentemente asserire che le innovazioni e le continuità convivono nell’originalità delle forme attuali.

Boito, le “forme nuove” per la reintegrazione intesa come questione di linguistica architettonica / Vitiello, Maria. - In: CONFRONTI. - ISSN 2279-7920. - (2015), pp. 61-70.

Boito, le “forme nuove” per la reintegrazione intesa come questione di linguistica architettonica

Vitiello, Maria
Primo
2015

Abstract

L’idea dirompente della “distinguibilità” introdotta da Camillo Boito nel quarto congresso degli Ingegneri e Architetti italiani nel 1883 ha avuto un’immensa fortuna; un favore che trova eco sia negli enunciati giovannoniani, sia nei principi della Carta di Venenzia del 1964. Si tratta di un concetto “usurato dalla sua stessa fortuna”, come giustamente scrive Alberto Grimoldi [1], che spesso ha condotto gli architetti verso l’impiego di una diversità fine a se stessa e gli storici verso all’incomprensione pregiudiziosa delle azioni boitiane che erano realizzate all’interno della complessa stagione dell’eclettismo. Ripartendo dalla lettura del rapporto tra imitazione e invenzione per la definizione formale della reintegrazione nel restauro architettonico, con questo breve saggio si ha l’obiettivo di mettere meglio a fuoco il concetto di “invisceramento” che il nuovo deve avere per l’esistente. Tale concetto è stabilito da Quatremère quale nesso tra “imitazione non letterale” e “l’invenzione”, ma è ripreso e amplificato proprio dal pensiero boitiano (così come è già stato evidenziato dal Grimoldi) ed appare come l’elemento fondamentale per dare l’abbrivio ad un corretta interpretazione dell’esistente e ad una altrettanto corretta reintegrazione delle parti mancanti del medesimo. Per tale ragione è apparso giusto ricominciare ad interrogarsi sul cosa significasse effettivamente il termine “invisceramento” e su quanto la creatività boitiana di origini crociane trovasse in tale principio un limite e, pure, un impulso. Per avvicinarsi in maniera equanime a questa lettura di approfondimento si è cercato sostegno nelle parole di Pareyson e nella lettura strutturalista del testo architettonico. Egli, infatti, nella sua Teoria della formatività, spiega proprio questo aspetto giungendo a chiarire come nell’atto creativo i nessi che legano l’esistente al nuovo, la tradizione e l’innovazione possano convivere in forme proliferanti che non si riproducono mai in copie e ripetizioni, “ma generano forme diverse eppure legate a sé da vincoli familiari con una fecondità infinita e sempre rinnovabile”.[2] Sintassi, parole, struttura, organismo hanno cominciato a trovare, allora, una consequenzialità che ha potuto aiutare a trovare una significazione della “distinguibilità” boitiana sia nell’ambito dell’architettura dell’eclettismo sia nell’alveo della “legittima secrezione” del testo esistente, conducendola in un terreno nuovo, al di là dalla diversità fine a se stessa e oltre la mera copia L’innesto delle parti di reintegrazione sull’esistente, cioè, possono trovare legittimazione nel riconoscimento di un comune carattere formativo all’interno del quale le discontinuità, le deroghe e i conflitti, tendono a sfumarsi nella misura in cui ciascun elemento aggiunto sia capace di partecipare al processo formativo all’interno del quale si può indifferentemente asserire che le innovazioni e le continuità convivono nell’originalità delle forme attuali.
2015
Boito; lacune; reintegrazione
01 Pubblicazione su rivista::01a Articolo in rivista
Boito, le “forme nuove” per la reintegrazione intesa come questione di linguistica architettonica / Vitiello, Maria. - In: CONFRONTI. - ISSN 2279-7920. - (2015), pp. 61-70.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11573/1383019
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